venerdì 15 aprile 2016

Cum dolore firmitas venit.

Cum dolore firmitas venit?
(con il Dolore viene la forza?)


Mi ha sempre stupito come in alcune scuole di Jujitsu la percezione della qualità di una  tecnica sia direttamente collegata al dolore che essa  procura ad Uke...Anzi.. in alcune scuole alcuni praticanti si vantano di essere svenuti dal dolore durante la pratica.


Spesso queste scuole usano punti di pressione per incrementare l'efficacia della tecnica, permettendo di praticare le tecniche su persone molto più forti o con muscolature molto pronunciate (Hakko Ryu e i suoi "derivati" per esempio) ed il concetto è interessante..  in fondo, fin da quando eravamo bambini,  le gesta di Ken il Guerriero ci hanno appassionato, ed in quell'Anime i punti di pressione sono stati usati in un infinità di situazioni...

Ma siamo sicuri che il dolore continuo e reiterato possa essere una pratica corretta per la nostra fisiologia? I microtraumi che subiamo oggi potrebbero creare un problema nel nostro non lontano futuro...

Certo, un minimo di allenamento alla sopportazione del dolore dovrebbe essere parte integrante dello studio di qualunque arte marziale, anche solo un allenamento alla GESTIONE del dolore...

Imparare a conoscere il nostro corpo e sapere fino a quando possiamo resistere, o conoscere la nostra soglia del dolore per evitare di farci male davvero... sapere quando battere per avvisare il compagno che siamo arrivati al limite, saper accompagnare la leva avversaria per limitare il dolore e, contemporaneamente, avvisare che il dolore c'è.. e che la tecnica sta funzionando...
Non è necessario arrivare a farsi male davvero.. anzi! ma non battere prima del dovuto, resistere un istante di più, permettere al compagno di lavorare nella maniera corretta, sono tutti modi per imparare di più sul proprio corpo e sulla propria forza di Volontà.

D'altra parte è vero anche il contrario, non è necessario far provare dolore ogni volta che si pratica la stessa tecnica, ogni tanto la tecnica va "tirata di più", ma far male sistematicamente al compagno che "ci presta il suo corpo per imparare" è scorretto e fondamentalmente sbagliato.


cartello al dojo di Aikido di Iwama, scritto da Saito Sensei

D'altra parte il dolore è veramente parte integrante dello studio delle arti marziali? E' sempre necessario?
  

Devo dirmi estremamente fortunato di avere con me un allieva ammirevole e che mi sta insegnando moltissimo a proposito... 70 anni, pacemaker, artrite, varie patologie fra cui alcune molto gravi..
Eppure pratica
Si presenta sul tatami con tutti i suoi dolori e i suoi problemi e pratica, facendo tutto ciò che è in suo potere per imparare al meglio, per fare tutto quello che fanno gli altri.
Il dolore si legge spesso nei suoi occhi, ma è tenuto a bada dalla determinazione e dalla forza di volontà.
Cavolo
Lei può insegnare a tutti noi che abbiamo minimo vent'anni di meno qualcosina sulla "sopportazione del dolore" e su come superarlo per poter praticare...



Proprio grazie a Lei ho cominciato a studiare la nostra scuola con un occhio diverso e farmi delle domande.....
e sono giunto ad una mia personale (e magari sbagliata) opinione:

I Kata base del Moto Ha Yoshin Ryu Jujutsu si chiamano KIHON NO KATA e KIHON OKU NO KATA (Kata dei Fondamentali, e Kata avanzato dei Fondamentali)

Come in tutte le tradizioni giapponesi più antiche e profonde, tutta la scuola si può tranquillamente apprendere dai Kata base.. nei movimenti apparentemente semplici dei Fondamentali, è nascosto tutto.. ogni movimento, ogni "segreto", ogni principio fondante e caratterizzante di questa scuola può essere desunto ed appreso semplicemente studiando queste forme basilari.

Infatti Soke Yasumoto, Fondatore del Moto Ha Yoshin Ryu,  afferma che il Jujutsu è  fondato su tre pilastri : Tai Sabaki, Tenouchi e Kuzushi.

Ogni Marzialista degno di questo nome conosce questi termini, ma li riassumo velocemente per i neofiti:

Tai Sabaki : Viene spesso tradotto con "spostamento del corpo", ma il verbo Sabaku significa "Gestire, amministrare"  e quindi è più giusto  tradurlo con un "gestire il corpo" sottintendendo che, muovendosi,  il corpo deve rimanere in posizioni comode ed equilibrate.

Tenouchi : "Dentro la mano", che indica il modo di praticare senza afferrare l'avversario.. un modo che mi piace descrivere come "afferrare senza afferrare", strettamente legato all'uso della spada ed al modo di impugnarla stringendo solo con le ultime tre dita della mano.

Kuzushi "demolire", cioè la capacità di "sbilanciare" l'avversario  iniziando dall'istante in cui viene effettuata la presa, ma che più esotericamente si può dire inizi nel momento stesso del contatto visivo..

I kata base nascono per insegnare esattamente questo.. e lo fanno attraverso "tecniche" e "principi", molte di queste tecniche sono leve articolari (Gyaku),altre sono proiezioni (Nage, Lanci) ma non bisogna pensare che il kata serva ad insegnare queste.. 
Non dobbiamo confondere il metodo di insegnamento con il soggetto dell'insegnamento..
Quindi lo scopo ultimo dei Kata non è insegnare 10 tecniche, e nemmeno 10 Principi.... lo scopo ultimo dei Kata è insegnare quei tre piccoli e semplici concetti...

Ed allora, se si comprende questo, si comprende anche che Uke non deve per forza fare resistenza su Tori.. e tornano in mente tutte le volte che Soke Yasumoto puntualizza che Uke non deve AFFERRARE, stringere.. perchè non è utile a ciò che il Kata vuole insegnare.
In più, restando più morbidi, si toglie enfasi all'attacco in Se e per se, Tori non  si concentra più sull'idea di liberarsi dalla presa, di rompere la forza dell'avversario.. si concentra di più su se stesso e sullo studio di quei tre benedetti pilastri.

Eppure tutti si concentrano sul capire come fare, ad esempio, kotegaeshi in modo più efficace, ignorando che la leva è solo l'ultima e neanche la più importante cosa che viene insegnata dal kata.

Questo non vuol dire che non si debba mai fare resistenza, non si debba mai sentire dolore, non si debba mai usare la forza...
Vuol dire solo che per studiare la BASE, queste cose non sono necessarie e, anzi, sono deleterie all'apprendimento.

In più mi sono reso conto che in questo modo si limita, e di molto, la possibilità di infortuni e microtraumi sul tatami..
Epicondiliti, dolori alle ginocchia, tendiniti..
sono tutti segnali che la pratica è troppo dura, dolorosa, forzata.
Se invece pratico i Kata base nel modo corretto, imparerò a non farmi male, a non fare male e ad utilizzare i fondamenti della scuola per applicare le tecniche. 
Ogni praticante potrà poi decidere, secondo la propria esperienza e possibilità, il livello a cui giungere..
La mia allieva di cui sopra potrà continuare a praticare anche con tutti i suoi limiti, sapendo che non si farà del male, mentre il giovane più irruento potrà cercare di applicare le tecniche in modo più aggressivo e fisico, avendo però la consapevolezza di quali sono i limiti.


Perchè quando il marzialista avrà interiorizzato la tecnica, compreso il legame fra i tre pilastri, assorbito veramente l'insegnamento del Kata, ALLORA potrà iniziare uno studio fatto di pratica più libera, di forzature, di attacchi più realistici.

So già che ci sono dubbi e critiche su questo punto, in tutti gli sport da combattimento, nelle arti marziali miste, nei sistemi di difesa si insegnano da SUBITO cose che nelle arti tradizionali ci si mette Anni ad imparare..
Ma è veramente così?

Il sistema dei Kata è un sistema codificato per insegnare dei principi in modo sicuro e pratico,ma non necessariamente breve.
Chi vuole apprendere più velocemente deve solo studiare di più, praticare di più, sudare di più ma non necessariamente soffrire di più.





venerdì 26 febbraio 2016

Stay Hungry, Stay Foolish (e mi perdonerà Jobs)


Quando ho iniziato la pratica del Judo non ero pienamente cosciente di ciò che facevo..
Ho iniziato a 6 anni, quasi per caso (o per fortuna) e non mi sono mai chiesto se avrei potuto fare qualche altro sport, perchè mi piaceva e mi dava quello di cui avevo bisogno..
Mi divertivo, crescevo, imparavo...
Mi piaceva conoscere i nomi esotici delle tecniche che studiavo, mi piaceva lo studio della tecnica, ma anche il Randori..
Apprezzavo meno le gare, in quantoessendo persona molto emotiva, le vivevo male..
eppure erano parte integrante della pratica e come tale le vivevo..
non sceglievo, semplicemente vivevo il Judo come mi veniva insegnato.
In quel periodo (parlo di metà degli anni '70 fino al '90) il Judo era solamente finalizzato alla competizione.. nemmeno sapevo esistessero delle "cose" chiamate Kata.. Il judo era Tecnica/uchikomi/randori/shiai... 
L'apprendimento era esperenziale.. poche spiegazioni, molta pratica, molto combattimento.
Uscivo dal Dojo stanco ma contento, ogni sconfitta mi insegnava qualcosa.. non mi stancavo di riprovare... i Compagni più bravi erano amici e allo stesso tempo sfide da affrontare..
Eppure mi mancava qualcosa..

Andando all'università e poi per un lungo periodo, ho abbandonato il dojo, salvo poi ritornarvi quasi per caso dopo molti anni per provare quella cosa nuova che veniva chiamata "Jujitsu"..
dopo la prima lezione è stato amore a prima vista...
io che ero più riflessivo ed improntato allo studio della tecnica, trovavo finalmente una pratica che prediligeva esattamente questo..
Negli anni successivi ho assorbito come una spugna tutto quello che mi veniva insegnato, tecnica dopo tecnica, kata dopo kata.. trovavo stimolante apprendere continuamente cose nuove, tecniche, movimenti, lunghe sequenze cinetiche...
mi sono divertito moltissimo, ed ho imparato le basi di ciò che sono proprio in quegli anni...
ma anche qui, dopo diversi anni, mi sono accorto che mi mancava qualcosa.. che quello che facevo aveva poca profondità...

Ciò che studiavo era come una palude...
Enorme, vasta...
eppure poco profonda, stagnante...
un programma vasto, fatto di decine di tecniche e di sequenze cinetiche..
ma fondamentalmente prive di profondità e coerenza...
Il jujitsu (come ho già avuto modo di scrivere in passato) era un mescolare di Judo, Karate, Aikido, Jujitsu moderno, kobudo di okinawa e Koryu... una sovrapposizione continua di pratiche diverse che dovevano, nell'immaginario, dare vita ad un Jujitsu personale per ognuno (quante volte l'avete sentita questa?)

L'ultimo anno che ho passato lì è stato desolante... avevo la percezione netta di buttare via il mio tempo.. 
Si, continuavo a fare cose nuove, ad aggiungere strati su strati, ad accumulare "conoscenza".... ma in realtà non facevo nessun vero progresso.. non miglioravo me stesso come avrei voluto.
Così ho parlato col mio Maestro, e lui ha capito cosa gli dicevo...
Non era il suo modo di vedere (perchè lui continua tutt'ora nella sua pratica multiscuola), ma mi ha detto una frase che ricorderò sempre:
"a volte, perchè l'albero cresca, devi potare dei rami"

Ho quindi iniziato la mia ricerca.. ho girato i Dojo che conoscevo, ho partecipato ad un meeting che mi è rimasto nel cuore in cui dieci Maestri dividevano il Tatami per far conoscere la propria arte, ho provato ed ho applicato pedissequamente la legge di Grunf (pseudonimo del Maestro di Aikido Angelo Orientale, che ringrazio per questa perla)

“Vai, osserva, chiedi, valuta, scegli"

Dopo di che ho fatto la mia scelta, ho iniziato a seguire un solo Maestro, una sola Scuola.. con notevoli sacrifici ho portato avanti questa scelta di cui non mi sono mai pentito..
Ho iniziato a studiare una scuola che ha profonde radici storiche, che è fortemente ancorata nel passato feudale e che risponde perfettamente alle mie  esigenze, domande, necessità.
Ed ora è come guardare un lago... 
In cui l'acqua è cristallina, profonda da non vederne il fondo.. riesco a vederne i limiti all'orizzonte, ma allo stesso tempo mi rendo conto di quanto sia difficile se non impossibile, conoscerlo tutto, ogni anfratto, ogni insenatura, ogni fondale.
E questo mi ha reso felice.. mi dà un senso di libertà e di completezza sapere che ho molto da imparare e che più mi ci immergo, più trovo cose da scoprire, da apprendere, da studiare.
E' una sensazione strana, e comprendo che non sia semplice capirmi veramente quando dico "questo stage mi è piaciuto perchè ho appreso un principio nuovo, che non avevo ancora visto"..
Che mi sia sufficente trovare un nuovo particolare ed impercettibile movimento di un Kata fatto e rifatto mille volte per rendermi veramente Felice, di una felicità che forse solo i bambini che scoprono un nuovo modo di giocare con la stessa sabbia possono provare.


So che per molti questo mio atteggiamento sembra una chiusura, o una mancanza di fantasia e di apertura mentale.. A volte mi chiedono come mai non amo praticare altre scuole, altri stili, altre Arti Marziali...
Mi dicono che mi sto rinchiudendo in me stesso...
Ma non capiscono che la mia è solo dedizione...
Ho così tanto da imparare e studiare in questa scuola (così "piccola" e limitata nel suo curriculum tecnico), così tanto da cercare in questo lago, che non trovo necessario nè utile andare a cercare fuori...a pescare nel Mare (o in altre paludi, se è per quello)..
Mi rendo conto dei miei limiti.. so che non posso disperdere la mia attenzione più di tanto.. 
sto cercando di mantere il fuoco su ciò che mi interessa veramente, sulla scuola che ho deciso di seguire e di trasmettere al mio meglio. E già così mi rendo conto di essere in difficoltà.
Per fortuna sono un istruttore, ed ho la fortuna di avere dei compagni di Dojo che mi aiutano molto.

Ogni allievo mi aiuta a ricordare e studiare, ogni domanda che mi viene posta mi fa pensare e tiene attiva l'attenzione. Insegnare una tecnica base con un allievo alle prime armi mi impone di farla al meglio, prestando cura ai dettagli. 
Ed ogni allievo è diverso, permettendomi di provare la stessa tecnica su strutture fisiche diverse ed aiutandomi a chiarire in me il concetto di JU come "Adattabilità". 

Gli allievi nuovi non hanno ancora programmato nel loro metabolismo la risposta cinetica giusta al principio applicato, e quindi si comportano in maniera più "naturale", sfatando una serie di miti che ci si potrebbe creare restando nel proprio Dojo.

Gli allievi avanzati fanno domande e richieste più specifiche, più sottili,  con loro mi trovo a studiare in maniera più approfondita,  su un piano paritario.. e questo è  estremamente stimolante e gratificante. Cerchiamo insieme la risposta, cerchiamo insieme nuove domande.

Mi ritrovo, alla fine di molte lezioni, ad essere di nuovo Felice, come quando esco da uno Stage col mio Maestro, perchè ho appreso qualcosa di nuovo.
Cosa posso chiedere di più alla mia pratica?

Perchè allora citare Steve Jobs nel titolo, se mi "rinchiudo" in una sola scuola?

Perchè vorrei invitare i praticanti a rimanere affamati della conoscenza della propria scuola, di non pensare MAI di averla appresa, di aver capito, di averla studiata abbastanza.
Perchè se una scuola ha radici profonde, non bisogna mai smettere di scavare, cercare, studiare, praticare, bisogna mantenere viva la fiamma della curiosità anche quando sembra non vi sia più nulla da imparare.

Ben venga il confronto, lo stage , l'incontro con altre realtà..
Andare ad un incontro con un altra scuola potrà essere utile e interessante e potrà probabilmente insegnarmi qualcosa (anche qualcosa, magari,  che riguarda la scuola che pratico), ma lo studio vero è un altra cosa.

E' interessante andare allo stage regionale della "Nonnina Samurai" (per fare un esempio conosciuto a molti), ma studiare la Sua arte è differente, vuol dire impegnarsi e studiare con lei, e quando torno al dojo continuare a  provare e riprovare...se affronto la lezione pensando di portare a casa qualcosa di finito (come una tecnica, o un principio nuovo) da applicare a quello che studio di solito, sto facendo un grande torto all'Insegnante ed a me stesso. (E'anche una delle ragioni per cui amo la nostra scuola.. è piccola e gli stage sono "umani", il Maestro, ed il Soke quando vengono a trovarci, sono presenti ed hanno il tempo e la possibilità di seguirci tutti.)

Naturalmente questa è solo la mia esperienza, e può essere smentita da mille altre. 
Ma sono convinto che spesso sia più facile guardare il pelo dell'acqua e credere di aver visto il lago, che immergersi per scoprirne la profondità, e per farlo doversi impegnare con una sola scuola, un solo maestro, e questo richiede senz'altro un pò di sana pazzia.


Food for thoughts