Quando ho iniziato la pratica del Judo non ero pienamente cosciente di ciò che facevo..
Ho iniziato a 6 anni, quasi per caso (o per fortuna) e non mi sono mai chiesto se avrei potuto fare qualche altro sport, perchè mi piaceva e mi dava quello di cui avevo bisogno..
Mi divertivo, crescevo, imparavo...
Mi piaceva conoscere i nomi esotici delle tecniche che studiavo, mi piaceva lo studio della tecnica, ma anche il Randori..
Apprezzavo meno le gare, in quantoessendo persona molto emotiva, le vivevo male..
eppure erano parte integrante della pratica e come tale le vivevo..
non sceglievo, semplicemente vivevo il Judo come mi veniva insegnato.
In quel periodo (parlo di metà degli anni '70 fino al '90) il Judo era solamente finalizzato alla competizione.. nemmeno sapevo esistessero delle "cose" chiamate Kata.. Il judo era Tecnica/uchikomi/randori/shiai...
L'apprendimento era esperenziale.. poche spiegazioni, molta pratica, molto combattimento.
Uscivo dal Dojo stanco ma contento, ogni sconfitta mi insegnava qualcosa.. non mi stancavo di riprovare... i Compagni più bravi erano amici e allo stesso tempo sfide da affrontare..
Eppure mi mancava qualcosa..
Andando all'università e poi per un lungo periodo, ho abbandonato il dojo, salvo poi ritornarvi quasi per caso dopo molti anni per provare quella cosa nuova che veniva chiamata "Jujitsu"..
dopo la prima lezione è stato amore a prima vista...
io che ero più riflessivo ed improntato allo studio della tecnica, trovavo finalmente una pratica che prediligeva esattamente questo..
Negli anni successivi ho assorbito come una spugna tutto quello che mi veniva insegnato, tecnica dopo tecnica, kata dopo kata.. trovavo stimolante apprendere continuamente cose nuove, tecniche, movimenti, lunghe sequenze cinetiche...
mi sono divertito moltissimo, ed ho imparato le basi di ciò che sono proprio in quegli anni...
ma anche qui, dopo diversi anni, mi sono accorto che mi mancava qualcosa.. che quello che facevo aveva poca profondità...
Ciò che studiavo era come una palude...
Enorme, vasta...
eppure poco profonda, stagnante...
un programma vasto, fatto di decine di tecniche e di sequenze cinetiche..
ma fondamentalmente prive di profondità e coerenza...
Il jujitsu (come ho già avuto modo di scrivere in passato) era un mescolare di Judo, Karate, Aikido, Jujitsu moderno, kobudo di okinawa e Koryu... una sovrapposizione continua di pratiche diverse che dovevano, nell'immaginario, dare vita ad un Jujitsu personale per ognuno (quante volte l'avete sentita questa?)
L'ultimo anno che ho passato lì è stato desolante... avevo la percezione netta di buttare via il mio tempo..
Si, continuavo a fare cose nuove, ad aggiungere strati su strati, ad accumulare "conoscenza".... ma in realtà non facevo nessun vero progresso.. non miglioravo me stesso come avrei voluto.
Così ho parlato col mio Maestro, e lui ha capito cosa gli dicevo...
Non era il suo modo di vedere (perchè lui continua tutt'ora nella sua pratica multiscuola), ma mi ha detto una frase che ricorderò sempre:
"a volte, perchè l'albero cresca, devi potare dei rami"
Ho quindi iniziato la mia ricerca.. ho girato i Dojo che conoscevo, ho partecipato ad un meeting che mi è rimasto nel cuore in cui dieci Maestri dividevano il Tatami per far conoscere la propria arte, ho provato ed ho applicato pedissequamente la legge di Grunf (pseudonimo del Maestro di Aikido Angelo Orientale, che ringrazio per questa perla)
“Vai, osserva, chiedi, valuta, scegli"
Dopo di che ho fatto la mia scelta, ho iniziato a seguire un solo Maestro, una sola Scuola.. con notevoli sacrifici ho portato avanti questa scelta di cui non mi sono mai pentito..
Ho iniziato a studiare una scuola che ha profonde radici storiche, che è fortemente ancorata nel passato feudale e che risponde perfettamente alle mie esigenze, domande, necessità.
Ed ora è come guardare un lago...
In cui l'acqua è cristallina, profonda da non vederne il fondo.. riesco a vederne i limiti all'orizzonte, ma allo stesso tempo mi rendo conto di quanto sia difficile se non impossibile, conoscerlo tutto, ogni anfratto, ogni insenatura, ogni fondale.
E questo mi ha reso felice.. mi dà un senso di libertà e di completezza sapere che ho molto da imparare e che più mi ci immergo, più trovo cose da scoprire, da apprendere, da studiare.
E' una sensazione strana, e comprendo che non sia semplice capirmi veramente quando dico "questo stage mi è piaciuto perchè ho appreso un principio nuovo, che non avevo ancora visto"..
Che mi sia sufficente trovare un nuovo particolare ed impercettibile movimento di un Kata fatto e rifatto mille volte per rendermi veramente Felice, di una felicità che forse solo i bambini che scoprono un nuovo modo di giocare con la stessa sabbia possono provare.
So che per molti questo mio atteggiamento sembra una chiusura, o una mancanza di fantasia e di apertura mentale.. A volte mi chiedono come mai non amo praticare altre scuole, altri stili, altre Arti Marziali...
Mi dicono che mi sto rinchiudendo in me stesso...
Ma non capiscono che la mia è solo dedizione...
Ho così tanto da imparare e studiare in questa scuola (così "piccola" e limitata nel suo curriculum tecnico), così tanto da cercare in questo lago, che non trovo necessario nè utile andare a cercare fuori...a pescare nel Mare (o in altre paludi, se è per quello)..
Mi rendo conto dei miei limiti.. so che non posso disperdere la mia attenzione più di tanto..
sto cercando di mantere il fuoco su ciò che mi interessa veramente, sulla scuola che ho deciso di seguire e di trasmettere al mio meglio. E già così mi rendo conto di essere in difficoltà.
Per fortuna sono un istruttore, ed ho la fortuna di avere dei compagni di Dojo che mi aiutano molto.
Ogni allievo mi aiuta a ricordare e studiare, ogni domanda che mi viene posta mi fa pensare e tiene attiva l'attenzione. Insegnare una tecnica base con un allievo alle prime armi mi impone di farla al meglio, prestando cura ai dettagli.
Ed ogni allievo è diverso, permettendomi di provare la stessa tecnica su strutture fisiche diverse ed aiutandomi a chiarire in me il concetto di JU come "Adattabilità".
Gli allievi nuovi non hanno ancora programmato nel loro metabolismo la risposta cinetica giusta al principio applicato, e quindi si comportano in maniera più "naturale", sfatando una serie di miti che ci si potrebbe creare restando nel proprio Dojo.
Gli allievi avanzati fanno domande e richieste più specifiche, più sottili, con loro mi trovo a studiare in maniera più approfondita, su un piano paritario.. e questo è estremamente stimolante e gratificante. Cerchiamo insieme la risposta, cerchiamo insieme nuove domande.
Mi ritrovo, alla fine di molte lezioni, ad essere di nuovo Felice, come quando esco da uno Stage col mio Maestro, perchè ho appreso qualcosa di nuovo.
Cosa posso chiedere di più alla mia pratica?
Perchè allora citare Steve Jobs nel titolo, se mi "rinchiudo" in una sola scuola?
Perchè vorrei invitare i praticanti a rimanere affamati della conoscenza della propria scuola, di non pensare MAI di averla appresa, di aver capito, di averla studiata abbastanza.
Perchè se una scuola ha radici profonde, non bisogna mai smettere di scavare, cercare, studiare, praticare, bisogna mantenere viva la fiamma della curiosità anche quando sembra non vi sia più nulla da imparare.
Ben venga il confronto, lo stage , l'incontro con altre realtà..
Andare ad un incontro con un altra scuola potrà essere utile e interessante e potrà probabilmente insegnarmi qualcosa (anche qualcosa, magari, che riguarda la scuola che pratico), ma lo studio vero è un altra cosa.
E' interessante andare allo stage regionale della "Nonnina Samurai" (per fare un esempio conosciuto a molti), ma studiare la Sua arte è differente, vuol dire impegnarsi e studiare con lei, e quando torno al dojo continuare a provare e riprovare...se affronto la lezione pensando di portare a casa qualcosa di finito (come una tecnica, o un principio nuovo) da applicare a quello che studio di solito, sto facendo un grande torto all'Insegnante ed a me stesso. (E'anche una delle ragioni per cui amo la nostra scuola.. è piccola e gli stage sono "umani", il Maestro, ed il Soke quando vengono a trovarci, sono presenti ed hanno il tempo e la possibilità di seguirci tutti.)
E' interessante andare allo stage regionale della "Nonnina Samurai" (per fare un esempio conosciuto a molti), ma studiare la Sua arte è differente, vuol dire impegnarsi e studiare con lei, e quando torno al dojo continuare a provare e riprovare...se affronto la lezione pensando di portare a casa qualcosa di finito (come una tecnica, o un principio nuovo) da applicare a quello che studio di solito, sto facendo un grande torto all'Insegnante ed a me stesso. (E'anche una delle ragioni per cui amo la nostra scuola.. è piccola e gli stage sono "umani", il Maestro, ed il Soke quando vengono a trovarci, sono presenti ed hanno il tempo e la possibilità di seguirci tutti.)
Naturalmente questa è solo la mia esperienza, e può essere smentita da mille altre.
Ma sono convinto che spesso sia più facile guardare il pelo dell'acqua e credere di aver visto il lago, che immergersi per scoprirne la profondità, e per farlo doversi impegnare con una sola scuola, un solo maestro, e questo richiede senz'altro un pò di sana pazzia.
Food for thoughts
"so che non posso disperdere la mia attenzione più di tanto..
RispondiEliminasto cercando di mantere il fuoco su ciò che mi interessa veramente, sulla scuola che ho deciso di seguire e di trasmettere al mio meglio."
Anche questo è "tenere il centro", su quello che si vuole fare nella vita esattamente come lo si tiene nella tecnica sul tatami.