mercoledì 19 dicembre 2012

IL GATTO



Il pensiero di oggi deriva da uno scritto postato dal Maestro Regoli su Facebook


"IL GATTO DA MEDITAZIONE
L'abate di un monastero Zen aveva una sola debolezza: un gatto che, sicuro dell'affetto del padrone, era il vero padrone del monastero.
Il gatto soleva passeggiare perfino nella sala di meditazione mentre i monaci la occupavano,e, strusciandosi e camminando vicino a loro ne turbava la concentrazione.
L'abate prese allora l'abitudine, prima della pratica della meditazione, di legare il gatto davanti alla porta della sala.
Passò il tempo, legare il gatto divenne un'abitudine a cui nessuno faceva più caso.
Poi, un giorno , l'abate morì, ed il suo successore provvedeva a legare il gatto al momento giusto.Poi morì il gatto, ed il successore dell'abate mandò subito a comprare un altro gatto, in modo da poterlo legare prima della meditazione"

Questo piccolo racconto invita a riflettere su come molto spesso, sopratutto nell'ambiente delle arti marziali, alcune cose non siano tramandate per una reale necessita' o per una reale conoscenza... ma solo per abitudine.

Molto stranamente e nella mia esperienza (sottolineo, MIA) questo atteggiamento l'ho trovato molto di più in alcune scuole moderne di Jujitsu che in quelle tradizionali che ho conosciuto.

Nelle scuole tradizionali che ho avuto modo di conoscere un pochino più approfonditamente (Hontai Yoshin ryu, Moto Ha Yoshin Ryu, Daito Ryu) non esiste nulla che viene fatto solo "perchè è cosi'" O "perchè è più bello", ma tutto ha una ragione precisa...

Tutti i movimenti che vengono fatti, le posture, le posizioni, gli spostamenti hanno una loro funzione precisa.. che può essere magari desueta o arcaica (in fondo non c'è pericolo che un uomo al giorno d'oggi, ad esempio, estragga un Katana) ma hanno una loro ragione  d'esistere che può essere tecnica, pratica o anche "solo" storica.. ma esiste SEMPRE una ragione.
Naturalmente capita a volte che  non si riesca subito a capirla od intuirla, questa ragione, ... ma studiando, praticando  e chiedendo, alla fine questa si presenta palese agli occhi.

Diversamente mi e' capitato nelle diverse scuole moderne di Jujitsu che ho potuto praticare negli anni, che alcuni movimenti venissero fatti perchè " così è piu' bello" o "non so perchè, ma si fa così" ...
Spesso vengono insegnate tecniche che hanno veramente poco di "realistico" o pragmatico.. ma che allo stesso tempo NON hanno la "scusante" di essere insegnate per una ragione storica.

Spesso queste tecniche vengono insegnate con delle false aspettative, "se fanno parte di un sistema "moderno" vuol dire che hanno una ragione pratica".. quando in realtà molto spesso nei sistemi Moderni è più facile che siano stati introdotti elementi puramente estetici...


D'altra parte è proprio per questa diversa profondità che ho scelto, alcuni anni orsono, di iniziare lo studio di una scuola di Jujutsu tradizionale...Abbandonando il percorso che il mio maestro di allora aveva tracciato per me ed andando a cercarmi  un nuovo Maestro che fosse in grado di soddisfare la mia sete di risposte.

Proprio per questa profondità, per questa attenzione al trasmettere la conoscenza in modo corretto, le scuole tradizionali possono essere considerate VIVE...
perchè sebbene continuino a tramandare conoscenze che possono essere desuete, arcaiche, apparentemente inutili, cercano comunque di essere oneste nella trasmissione.

Un esempio per tutti:

in un recente stage di Daito Ryu Aikijujutsu, branca Seifukai, il responsabile tecnico M° Luigi Carniel ha mostrato il Genryu  No Kata... un ammirevole Kata che propone le stesse tecniche prima Ken contro Ken, poi mani nude contro Ken.
In una delle tecniche di questo Kata, il ken di Tori viene "appoggiato" al polso di Uke.
Il Maestro Carniel ha quindi tenuto a precisare che questa pratica fu  introdotta da Mochizuki Sensei per salvaguardare uke, in quanto l'attacco anticamente veniva portato al collo di Uke...ma visti i numerosi incidenti di pratica il Sensei aveva ritenuto opportuno modificare il Kata. 
Ecco... chi praticasse il kata in maniera superficiale potrebbe non capire il perchè di un "attacco" così strano...
ma conoscendo la RAGIONE, ecco che tutto diventa cristallino...

Naturalmente il Maestro Carniel ha tenuto a precisare che ad un certo livello, e quando la pratica del Kata fosse stata interiorizzata, si sarebbe dovuto tornare all'attacco originale.

Ecco... Questo è un esempio di cosa intendo quando dico che una scuola è Viva...

Naturalmente non significa che non esistanto scuole tradizionali in cui effettivamente il gatto viene legato senza sapere il perchè, o scuole moderne in cui invece si sappia sempre ciò che si sta facendo.. Tutte le valutazioni di cui sopra nascono, naturalmente, solo dalla mia esperienza.
Probabilmente, come mi è stato fatto giustamente notare, io ho avuto la fortuna di trovare dei bravi Insegnanti di Arti tradizionali, cosa di cui mi reputo molto, molto fortunato.


Quindi, in conclusione, continuamo a legare il gatto, se proprio dobbiamo, ma cerchiamo almeno di avere coscienza del perchè lo facciamo.

DISCLAIMER:
Nessun gatto è stato legato per scrivere quest'articolo, e l'autore condanna fortemente l'uso di guinzagli per i gatti :-D





mercoledì 17 ottobre 2012

FORMA E SOSTANZA NELLE ARTI MARZIALI

FORMA E SOSTANZA NELLE ARTI MARZIALI

Una frase che ho sentito spesso nel corso degli anni nei corsi di Jujutsu e che ho sempre trovato "strana" è stato "faccio la tecnica così perchè è più bella", o "perchè mi piace di più"...
Ho sempre pensato, quindi, che anche le tecniche  di Jujitsu dovessero sottostare a dei concetti estetici, cioè che i movimenti fossero fluidi, le tecniche belle a vedersi, le posizioni e le posture belle e "coreografiche"...


Ma poi ho avuto modo di discutere di questa "estetica delle arti Marziali" con i  cultori dei moderni sistemi di Difesa Personale (Krav Maga in primis) i quali aborrono l'idea stessa, ritenendo invece, che le tecniche debbano essere assolutamente pragmatiche ed "efficaci".


La cosa, in effetti, cozza pesantemente con il concetto stesso di Arte Marziale...
 

Ci siamo sempre riempiti la bocca con frasi del tipo "questa è un arte nata sui campi di battaglia ed usata dai Veri Samurai"...Se questo fosse vero (e non ho motivo di dubitarlo), allora c'è qualcosa di profondamente sbagliato.

 Come è possibile che un Samurai che doveva sopravvivere ad uno scontro mortale, stesse a badare all'estetica? A fare il movimento più "bello"?

 Leggendo e studiando, ci renderemo conto in realtà che il Samurai era un combattente estremamente pragmatico e che è ben lontano da quell'ideale di "Cavaliere senza macchia e senza paura" che ci viene propugnata dalla filmografia odierna...
 

Studiando il più antico Kata della linea Takagi Yoshin ryu, Omote no Kata, ci renderemo conto che il Samurai non disdegnava minimamente di attaccare alle spalle o di sorpresa un avversario, anzi! Ma anche in queste tecniche antichissime, che risalgono alla metà del 1600, c'è sicuramente della bellezza...c'è eleganza, velocità, fluidità..
ma allora?



Ci viene in aiuto, stranamente, un filosofo occidentale molto famoso, Robert Pirsig, il quale ha scritto due soli libri che sono, da anni, uno dei pilastri del mio pensiero e di ciò che sono al giorno d'oggi...
In questi libri ( "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" e "lila") Pirsig sviscera (fra le altre cose)  il concetto di Qualità..
 

Ci sono cose che hanno maggiore qualità di altre ed è indiscutibile, questa caratteristica di ogni cosa viene percepita da chi osserva, ma non è possibile misurarla, quantificarla, definirla.. Spesso ci si accorge che c'è, ma non si riesce a definirne i "contorni"...
Uno dei punti del libro cerca di capire come facciano moltissime persone a definire "bello" (quindi riconoscendone  la Qualità) un elicottero militare da guerra, o un arma, o un carroarmato...
Alcuni definiscono "bello" perfino un trattore...Nei canoni tradizionali della bellezza, queste cose non entrerebbero nemmeno di striscio... eppure è facile di fronte alla fotografia di un carroarmato squadrato e minaccioso sentire qualcuno dire "che figo... che bello"...

com'è possibile?
Una delle risposte date nel libro è che esiste una qualità intrinseca in qualcosa che svolge perfettamente la propria funzione.Interessante, vero?
Cioè qualcosa che è fatto e creato per svolgere al meglio la propria funzione viene percepito (da moltissime persone) come BELLO (i.e. di Qualità)...


Un secondo aiuto ci viene studiando un aspetto della cultura Giapponese che viene spesso tralasciato, perchè ci è totalmente estraneo..
 

Nella cultura Giapponese non esiste (almeno fino alla fine del XIX° secolo) un concetto di estetica fine a se stesso..in quanto tutto ciò che ha una funzione deve essere anche estetico.

In tutte le branche della cultura giapponese (dalla cucina, alla religione,ma anche in tutte le Arti "pure" come il Chanoyu, lo Shodo, il Sumi-e), la Forma e la Sostanza hanno la stessa valenza..Non c'è il concetto di "brutto ma efficace" o "bello ma inutile"..Ciò che ha una funzione DEVE essere anche bello, e viceversa...
 

Così, se prendiamo questi concetti e li rapportiamo allo studio delle Arti Marziali tradizionali, ci accorgeremo che il movimento Perfetto è bello in quanto estremamente funzionale...
non dovremo più cercare il movimento "bello", ma quando avremo compiuto il movimento perfetto, allora sarà per forza "bello"...



e' lo stesso principio che ci fa percepire della Qualità e ci fa ammirare i Kata di Iaido/iaijutsu compiuti da Maestri, e ci fa storcere il naso quando vediamo le esibizioni di Extreme Katana...
Nel primo caso la funzione primaria dell'atto è prettamente utilitaristica, ha lo scopo di tagliare, uccidere, eppure quando il movimento è perfetto non si può non ammirarne la bellezza.

Nel secondo caso, i movimenti sono spettacolari e complicatissimi, ma il loro unico scopo è essere "belli".. cioè l'estetica ha trasceso completamente la sostanza.

Per chi non comprende il concetto, ed ha una mentalità esclusivamente occidentale, entrambe le discipline hanno il medesimo valore... Anzi.. l'Extreme Katana richiede un controllo estremo del proprio corpo, una capacità da ginnasta.
Ma per chi, come me, studia invece l'essenza della tecnica e cerca di comprendere la cultura sottostante, il paragone non è nemmeno lontanamente possibile.

Per contro, i cultori dei nuovi Sistemi di Difesa Personale (Krav Maga, Keysi, eccetera), troveranno che la "bellezza" delle arti marziali tradizionali sia mera estetica... non ne percepiranno minimamente la profondità e la "verità"... commenteranno sorridendo e preferiranno (nel caso del Jujustu) non cercare la perfezione del gesto, ma solo la sua "efficenza" non comprendendo che nell'ottica delle Koryu, l'uno è equivalente all'altro.

Una frase che si sente spesso dai praticanti di DP è "meglio tecniche più sporche, meno perfezioniste"...
ecco...


Se andiamo a vedere l'aspetto della cultura giapponese di cui stiamo parlando, ci accorgeremo che per esempio nella religione Shintoista, questi stessi concetti vengono espressi con le stesse parole .. ciò che è YOI (Perfetto/bello) è pulito, mentre ciò che è KITANAI (imperfetto/brutto) è sporco, per questa ragione la maggior parte dei rituali Shinto includono la "purificazione" con l'acqua, che guarda caso è un elemento da sempre legato alle Arti Marziali Tradizionali.
Quindi, giusto per tirare una conclusione, quando si studia una scuola tradizionale Giapponese (nel nostro caso di Jujutsu, ma è valida per qualunque campo della Cultura Giapponese), dovremo cercare di comprendere che non dovremo mai studiare cercando di fare un gesto BELLO da vedere, ma se lo faremo PERFETTO per il suo scopo, allora esso sarà per forza di cose BELLO.

Citando il mio amico e storico Diego Donadoni
"se ci pensi, è la pragmaticità il fulcro di questa equazione: il movimento è bello PERCHE' è perfetto. Ma è perfetto PERCHE' efficace al suo scopo (bloccare, uccidere o altro a seconda della koryu e delle idee del fondatore)"

martedì 25 settembre 2012

MIGLIAIA DI SCHIZZI D'ANITRA [2]

Seguendo le istruzioni video, ho bagnato il grande pennello ed ho messo un pò d'acqua sullo Suzuri...poi ho iniziato a strofinarci l'inchiostro in barretta...
nell'inchiostro liquido formatosi, dal forte odore di cenere, ho intinto il pennello...

La prima volta che ho appoggiato il pennello alla carta di riso è stata una piccola emozione...
Ed una delusione, anche....
E' peggio che dipingere sulla carta assorbente... ogni pennellata tende ad espandersi e a bagnare troppo la carta... è un dramma riuscire a capire quanto deve essere bagnato il pennello, quanto deve essere scuro l'inchiostro...I primi esperimenti erano delle informi macchie di carta bagnata...e questi "primi" esperimenti si trasformano in trenta/quaranta fogli appallottolati e gettati...
Fino a quando, grazie ad un pò di caparbietà, ho iniziato a capire come tenere il pennello, come sciogliere l'inchiostro correttamente, quanto inchiostro tenere sul pennello perchè il foglio non si bagni troppo, e nel contempo che ci rimanga abbastanza "vuoto" fra le pennellate...
Sto imparando come tenere il pennello per avere una punta delle dimensioni di uno spillo, e come intingere il pennello per avere due tonalità differenti nella stessa pennellata...

Un mondo intero da scoprire...
Lo scopo, ora, non è più "fare dei sumi-e per creare degli haiga".. è dipingere Sumi-e per il puro piacere di farlo...

Ormai ho dipinto centinaia di Bamboo, seguendo lo stesso schema... Uno/due tronchi di bamboo, le foglie, i rametti che le sostengono...
Uno  dopo l'altro, foglio bianco dopo foglio bianco.... la tecnica migliora impercvttibilmente , il controllo del pennello diventa più fermo... un Sumijin (si scrive così?) sicuramente troverebbe infiniti errori in ciò che faccio, ma ora inizio a vedere anch'io qualche lieve miglioramento... e questo è estremamente gratificante.

Avendo "preso mano" nella pittura dei bamboo, ho cercato altre semplici forme da copiare... la Carpa KOI (simbolo della forza e della caparbietà), il Ramo di ciliegio (simbolo della primavera e dei Samurai), le Orchidee...

Ma ogni nuova sessione di pittura inizia sempre allo stesso modo.... dipingendo Bamboo....
I Bamboo sono il mio modo di entrare nella mentalità per dipingere Sumi-E, per riprendere controllo del pennello e della carta...
Quindi, in un paio di mesi ho dipinto centinaia di Bamboo,ognuno uguale nella struttura, ognuno diverso dall'altro...perchè nella loro semplicità i bamboo sono anche estremamente profondi.. insegnano al pittore molto più di quanto sia normalmente visibile...


Può sembrare noioso, a chi osserva con sguardo disattento, la ripetizione pedissequa di uno stesso tema, dipinto dopo dipinto, rametto dopo rametto....

Eppure, da ogni foglio di carta che mi passa sotto gli occhi, imparo qualcosa di nuovo.. un piccolo frammento di controllo, o un minimo di capacità di riconoscere il Vuoto come parte del disegno...Piccole cose.


Quindi, in un momento di Satori, ho compreso che il Sumi-E va affrontato come il Jujutsu e lo Iaido.. allo stesso identico modo....
Con Mushutoku, cioè senza scopo, senza farlo "per qualcosa", ma solo per il piacere puro di farlo.

Con dedizione e pazienza... perchè nell'infinita ripetizione dei Kata (I bamboo, il ramo di ciliegio) si nasconde la chiave della comprensione del "sistema"... ed esiste inoltre infinità libertà creativa..
Cercando il "Movimento perfetto", perchè solo con il gesto perfetto l'Arte raggiunge la sua essenza e, alla fine, esprime l'animo dell'artista.


Una volta preso mano, una volta interiorizzato il gesto, la pennellata, tutto diventa naturale...
La mente non ha più il controllo della mano, posso dipingere pensando ad altro... concentrando me stesso nell'atto della pittura, ma dipingendo solo con l'istinto...
I dipinti probabilmente non sono migliori, un pittore professionista può ANCORA trovare infiniti errori... ma se prima lo scopo era "dipingere per creare haiga" ed è divenuto "dipingere per divertimento".. alla fine diventa "dipingere per dipingere".....


Naturalmente quando si raggiunge un Satori (un istante di illuminazione), la vita lo riconosce e ti invia dei segnali...
A me ne sono arrivati due... 

Uno scritto del M° Regoli su Facebook, in cui racconta una storia estremamente interessante:
  
IL DISEGNATORE

Un giorno un facoltoso signore andò da un pittore specializzato in sumi-e; questa tecnica di pittura, che usa la china sul foglio inumidito, non permette ne’ esitazioni ne’ ripensamenti, ma un maestro può dare mille sfumature di grigio alla sua pennellata, e produrre opere di una raffinatezza estrema.
Il signore voleva un dipinto raffigurante un’anatra; il pittore acconsentì di buon grado ed avendo stabilito il prezzo, gli diede appuntamento di lì a un mese.
Allo scadere del tempo il signore si presentò alla bottega, ma il pittore parve non ricordarsi di lui: “un’anatra? Ordinata a me? Oh, certo, è nella lista delle commissioni; Lei mi dovrà scusare, ma prima io, poi mia moglie ed i piccoli siamo stati malati, ed io sono rimasto molto indietro col lavoro. La prego di tornare tra quindici giorni, e nel frattempo vedrò di soddisfarla”.
Dopo poco più di due settimane il signore si recò di nuovo allo studio dell'artista: “ Eccellenza! Certo mi ricordo di Lei! Come no! L'anatra! Ci siamo quasi, mi deve scusare, sa, ma ho dovuto recarmi nel nord per importanti affari di famiglia; noi siamo del nord, come si può dedurre dal mio accento, non l’ho ancora perso,vero? Abbia pazienza, torni fra una diecina di giorni e glie la faccio trovare”.

La volta successiva fu una nuova scusa e la richiesta di tre giorni, poi il signore venne pregato di tornare l’indomani.”Ancora lei con la sua dolce insistenza! Ma sa che ormai non riesco più a pensare ad altro? La sua anatra mi ossessiona!” cosi' parlando il pittore aveva disposto un foglio sul tavolo,fermandolo coi giusti pesi, e L'aveva inumidito con una spugna, poi, sempre chiacchierando, aveva stemperato la china allo spessore desiderato ed impugnato il grande pennello;quindi, senza neppure provare il pennello, con pochi tratti sicuri aveva delineato un’anatra. Altri tratti, più contenuti e leggeri, e due ultime pennellate complesse, simili al vibrato di un violino avevano infuso solidità e vita ad una splendida anatra, che sembrava essersi appena posata sull'acqua rallentando i movimenti per una pigra nuotata.La fine del disegno era coincisa mirabilmente con la fine delle parole, ed il disegnatore, liberatolo dai pesi, consegnò il foglio ancor fresco al cliente con un gesto elegantemente modesto.

Il cliente era sorpreso ma anche sbalordito, e sul suo viso era anche troppo trasparente il pensiero di quanto avesse dovuto aspettare per un disegno veramente mirabile ma che si poteva fare in cosÏ poco tempo, talché, balbettando, si decise a chiedere al pittore una spiegazione.
“Non dovrei proprio parlarne, ma lei mi è simpatico, e poi penso di doverle qualcosa, avendola fatta aspettare cosÏ a lungo”. Condusse quindi il cliente nel retrobottega: dal pavimento al soffitto, questo era tappezzato di migliaia di schizzi di un’anitra.
                                                                   [Claudio Regoli, pubblicata nel gruppo TSKSR di FB]

Ecco.... un primo messaggio..
ed il M° Regoli ha pubblicato questa storia come metafora dello studio delle arti Marziali, della necessità che un allievo sviluppi la pazienza, e della ripetizione del gesto necessaria a renderlo naturale e perfetto.
Quindi, il mio sentire l'affinità fra la pratica del Jujutsu e dello iaido con la pratica del Sumi-E non è così strana come pensavo.
Il secondo messaggio è stato un dono... durante i corsi di Jujutsu tenuti quest'estate abbiamo avuto ospite un praticante di Aikido... abbiamo chiaccherato un pò e ci siamo scambiati dei libri da leggere....

Il libro che mi ha prestato, e che alla fine mi ha gentilmente donato, è KATA " Forma tecnica e divenire nella Cultura Giapponese" di Kenji Tokitsu  
Una disanima del significato del Kata nella cultura giapponese..
Da questo libro traspare chiaramente quanto la "forma" sia non solo un sistema di trasmissione della conoscenza, ma anche e sopratutto una Forma Mentis tipicamente giapponese che ne permea tutta la cultura.. Non solo Arti Marziali, non solo Arti in generale.. ma proprio la mentalità stessa.

In fondo, come affermato nel libro e come ho potuto poi chiarire con il Mio amico Diego Donadoni, il significato del Kanji Kata è chiaro:


              Questo è uno dei kanji con cui si può scrivere kata, con l’accezione di “forma, stile”, che     
             nasce proprio dal concetto di “struttura” (parte sinistra del kanji) unito alle “setole del 
             pennello”, stilizzate nei tre tratti nella parte destra.
Etimologicamente, quindi, nasce dal concetto dell’ordine dei tratti, fondamentali per scrivere correttamente un kanji.                         [cit. Diego Donadoni]
Tutto torna, quindi...
Ecco la ragione per cui amo il Sumi-E, e per cui amo tanto intensamente i Kata del Jujutsu tradizionale e lo Iaido..
Perchè, in fondo, è tutto parte di un picolo percorso personale... la ricerca di qualcosa che potrò trovare, forse, in fondo alla Via.


sabato 22 settembre 2012

MIGLIAIA DI SCHIZZI D'ANITRA [1]

E' da qualche anno che mi interesso di Poesia Haiku... da quando un Amico, una sera, ha trascinato me ed alcuni amici in una piccola gara di poesia spiegandoci le regole degli Haiku... La serata è stata molto divertente, e mi è rimasta impressa nel cuore la semplicità di questa forma poetica che, pur essendo estremamente rigida nella struttura, proprio per questo consente di esprimere un'infinità di emozioni e di sensazioni...
Grazie sopratutto al non detto, all'inespresso, è possibile caricare di Pathos e di significato poche parole.
Per chi non la conoscesse (mal gliene incolga!) , la poesia Haiku è costituita da soli tre versi che devono essere obbligatoriamente di 5-7-5 sillabe. Nel primo o terzo verso dovrebbe essere presente il Kigo, cioè un riferimento alla stagione o al periodo dell'anno.

Matsuo Basho (1644-1694), uno dei più famosi Haijin del Giappone, scrive:


Shizuka sa ya
iwa ni shimi iru
semi no koe

Il silenzio
penetra nella roccia
un canto di cicale

Naturalmente la metrica, nella traduzione, va completamente a farsi benedire.. rimane però nell'aria una sensazione di calore... e l'immagine che ne deriva è percepibile anche nella traduzione.

Nel corso degli anni ho raffinato il palato, ed ho iniziato ad apprezzare sempre di più questa forma poetica, fino ad arrivare a scoprire gli Haiga.

Gli Haiga sono "semplicemente " l'unione di un immagine ad un Haiku che la completi o  la descriva..
Naturalmente un tempo gli haiga erano costituiti da dipinti, in cui la poesia completava il disegno...
Ma al giorno d'oggi è possibile comporre un Haiga su una fotografia, per veicolare così l'emozione o il sentimento espressi nel momento della visione dell'immagine.


Ho iniziato così ad interessarmi a questo nuovo modo di esprimermi, ed ho iniziato a scrivere degli Haiku per "completare" (che volgare moto di orgoglio!!) le fotografie scattate da una mia amica.
Probabilmente lei (you know who you are!! :-D)  mi ha trovato un pò invadente, e mi ha fatto gentilmente notare che i veri Haiga sono quelli costituiti da un dipinto e da un Haiku.

Nello stesso periodo, poichè la vita ti aiuta sempre, ho conosciuto tramite Facebook un VERO pittore di Sumi-E (pittura con inchiostruo Sumi)  polacco estremamente bravo...I suoi dipinti sono estremamente carichi e realistici...E' stato quindi un colpo di fulmine...
 l'idea ha germogliato ed è cresciuta in una decisione:
 capire come si potesse dipingere "Alla giapponese" per poter comporre, infine, degli Haiga...

Ho chiamato un mio amico, presidente di un'associazione che promulga la cultura e l'arte Giapponese in tutte le sue forme, il quale mi ha riferito che, purtroppo, non ci sono insegnanti di Sumi-E conosciuti in Veneto...

l'unico altro modo di perseguire il mio scopo è pertanto diventare Autodidatta...

A questo punto, molti di Voi storceranno il naso....
Ma per me è l'unico modo di poter perseguire una piccola, insignificante passione...

Come tutti gli autodidatti mi sono rivolto all'Insegnante Tecnomagico...Youtube...
Su Youtube esistono tutorial video per fare qualunque cosa... Dalle bombe termonucleari alle Applepie...Ho quindi trovato questo:
Ecco... esattamente ciò di cui avevo bisogno...
Dopo aver visionato alla nausea questo ed altri  Video e dopo aver scartato i miei vecchi acquerelli che avevo conservato dai tempi dei Corsi di pittura (quindi anni orsono...).. ho contattato un amico, il mio spacciatore di fiducia di Articoli giapponesi...


http://www.hamakurashop.com/index.php


Daniele è una splendida persona, ed un venditore molto corretto e disponibile...
Mi ha subito indirizzato sugli articoli giusti e, dopo avermi caldamente sconsigliato di praticare lo Shodo (cioè la calligrafia) senza l'ausilio di un insegnante, mi ha invece rasserenato sul fatto che il Sumi-e è un arte che si può apprendere per tentativi.

Ho ordinato quindi un set completo di carta di riso, Inchiostro "Sumi" in barretta, Pennelli e la caratteristica "pietra" (in realtà di plastica) necessari ad iniziare.

Dopo una quindicina di giorni, quindi, ho avuto di fronte a me il video di cui sopra, un foglio di carta di riso, ed i pennelli...


Cos'è quindi il Sumi-E?
E' una forma di pittura giapponese, in cui si dipinge con  pennelli naturali  utilizzando un inchiostro solido (il sumi, per l'appuntoI) costituito da una mistura di colla e fuligine...
Il Sumi viene sciolto strofinandolo su una pietra chiamata Suzuri mescolato ad un pò d'acqua.
Il supporto è la carta di riso, una carta estremamente sottile e che non permette nessun tipo di ritocco...Questo è il segreto e la bellezza del Sumi-E... ogni tratto deve essere definitivo, perfetto...altrimenti il disegno va gettato... non sono permessi errori.


Il sumi-e ha alcuni temi tipici quali il Bamboo, che rappresenta l'inverno, o  le Orchidee che rappresentano la primavera.. Il modo di dipingere questi temi è sempre lo stesso e rappresenta, quasi, un kata (more on this later) 

Ho quindi deciso di iniziare con il Bamboo, che mi sembrava potesse essere il più accessibile.
[continua]










lunedì 17 settembre 2012

FOCUS ON WHAT WORKS

Grazie ad un iniziativa aziendale, ho avuto il privilegio di poter assistere ad un seminario di Psicologia Positiva, tenuto dal Dottor Tal Ben Sahahr, docente di questa nuova branca della Psicologia che, nelle intenzioni, insegna ad essere più felici.
Il corso di Psicologia positiva dell'Università di Harward è diventato uno dei corsi più seguiti.. ed il Dottor Ben Shahar ora è diventato uno dei più quotati consulenti per le aziende che  vogliono creare dei Team di successo.




Il seminario era un'introduzione, quindi ha cercato di riassumere quali siano le potenzialità del pensiero positivo nella vita e nel lavoro... Applicando alcuni concetti ed alcuni stratagemmi studiati, dovrebbe essere possibile essere più consapevoli e, alla fine, più felici.
Da buon Marzialcolico mi è venuto subito spontaneo applicare questi concetti alla pratica sul tatami.. e in questo post mi piacerebbe provare ad esplicitare quanto ho metabolizzato, cercando di seguire lo stesso filo conduttore che il Dottor Ben Shahar ha seguito durante il seminario.

FOCUS ON WHAT WORKS
Uno dei principi cardine della psicologia Positiva è di cercare di concentrarsi sulle cose che funzionano invece che su quelle che non funzionano..Su quelle Positive invece che su quelle Negative,  il che non significa avere gli "occhiali rosa".. semplicemente significa che se guardiamo ciò che FUNZIONA, il nostro atteggiamento verso le cose cambierà e migliorerà, portando benefici a ciò che facciamo.

Uno dei segreti per cambiare atteggiamento è Fare le domande giuste...
So che sembra stupido... ma effettivamente questo modus operandi lo possiamo trasporre alla nostra pratica sul tatami.

Una delle domande più frequenti che sento sul tatami è "Perchè non mi riesce questa tecnica?"
Con questa domanda, cercheremo sempre il difetto, la cosa che non funziona.. ci accaniremo su una parte del problema che è, per sua natura, errata.. e quindi non ci potrà dare nuove informazioni.

Se applichiamo quanto sopra a questo aspetto della pratica, potremo cambiare la domanda in "Perchè le altre tecniche funzionano?"...Concentrandoci sul PERCHE' FUNZIONANO, magari, potremo scoprire che la nostra postura è differente, il movimento, l'atteggiamento...
cercheremo cioè di comprendere ciò che rende una tecnica "efficace" o "efficente", riportandolo poi nel contesto della tecnica che ci dava problemi.

Inoltre concentrare la nostra attenzione su ciò che funziona, ci renderà più sicuri.
Naturalmente questo non vuol, dire IGNORARE i problemi... tutt'altro...vuol dire semplicemente cercare le risposte in luoghi differenti.
Un altra domanda sullo stesso argomento  potrebbe essere "perchè a lui funziona e a me no?"....
Normalmente, quello che cerchiamo di fare per rispondere a questa domanda è di guardare quello che stiamo sbagliando...quando in realtà dovremmo cercare di guardare quello che Lui (chiunque sia.. maestro o Compagno di pratica) sta facendo giusto...
:-)
So che sembrano le elucubrazioni di un filosofo... Ma se uno comprende le potenzialità del pensare in modo positivo, avrà sicuramente dei benefici.

LEARN FROM WHAT WORKS
Da uno studio psicologico su un campione molto esteso di bambini di cinque nazionalità differenti, è emerso che i bambini che si trasformano in persone di successo, hanno in comunque queste caratteristiche:
- Resilienza
   La capacità di resistere e di rialzarsi una volta caduti...
- Obbiettivi Precisi
   Cioè una predisposizione a porsi degli obbiettivi da raggiungere, chiari e definiti
- Modelli Guida
   Cioè persone o modelli a cui fare riferimento, da usare quale Esempi o Paragoni
- Focalizzazione sulle proprie forze
   Inteso come Conoscenza dei propri punti di forza e di cosa li rende più forti,
- Esercizio Fisico
   Anche solamente mezz'ora di esercizio fisico per tre volte la settimana ha lo stesso effetto terapeutico di una seduta psichiatrica.



Vi ricorda nulla?
Anche in questo caso, c'è un paragone da fare con la pratica sul tatami... La pratica sul tatami cerca di insegnare proprio queste caratteristiche indicate come necessarie al successo...Quelle che la Psicologia Positiva ritiene Caratteristiche delle persone di successo, sono le stesse caratteristiche che si sviluppano all'interno dei Dojo di Arti Marziali.. Per esempio : Nana Korobi Ya Oki .... Cadi sette volte, rialzati Otto
E' un famoso detto giapponese sulla necessità di  Imparare a rialzarsi da una sconfitta, a cercare proprio la prima caratteristica indicata sopra.

HABITS AND SELF DISCIPLINE
Anche in questo caso uno studio della Facoltà di Psicologia Positiva di Harvard ha dimostrato che la quantità di Autodisciplina in un uomo medio è piuttosto bassa... e che la capacità di resistere alle tentazioni o la capacità di portare a termine certi propositi (esempio quelli di inizio d'anno) sono direttamente collegate alla capacità di trasformare certi atteggiamenti in Abitudini.
Le Abitudini sono il sistema che il nostro cervello usa per riuscire a portare a termine alcune cose che normalmente non faremmo...
Lavarsi i denti la mattina e la sera, ad esempio, non sono pratiche che ci vengono naturali, ma possono diventarlo se le trasformiamo in abitudini... 

Allo stesso modo, per esempio, imparare a Guidare l'auto...
Inizialmente è difficile... ma quando si instaura l'abitudine, siamo in grado di farlo senza nemmeno pensarci...

Per poter instaurare delle Abitudini, uno dei metodi più efficaci è creare dei Rituali...
Imporsi cioè degli orari precisi a cui fare determinate cose...e farle sempre allo stesso modo...
Inizialmente bisognerà fare uno sforzo... man mano che si va avanti, questi rituali diverranno sempre più naturali.. e la cosa di straformerà in abitudine...
Il Dottor Shahar afferma che per instaurare un'abitudine nuova da un Rituale è necessario applicarlo con costanza per almeno un mese....
 

Anche in questo caso mi è venuto in mente il paragone con ciò che si pratica sul tatami...
La pratica pedissequa di un Kata, per esempio, ha la stessa funzione di un Rituale....serve cioè ad instillare nel nostro corpo alcune abitudini che non sono naturali, ma lo possono diventare.. Imparare a cadere, Tenere una guardia dissimulata, i movimenti corretti delle mani per liberarsi da una presa, o per assorbire/parare un colpo...
sono tutte Abitudini che ci vengono insegnate nel Rituale del Kata...
L'importante, mi viene da chiosare, è non confondere il Rituale con ciò che vogliamo apprendere...
Anche questo, alla fine, serve a farci ricordare che il Kata è solo uno strumento, un sistema che ci serve per apprendere qualcos'altro..per apprendere l'Abitudine al giusto modo di muoversi.




Quindi, in definitiva, questo seminario è stato molto interessante...
Come ogni marzialcolico che si rispetti, ho preso ciò che mi è stato spiegato e l'ho guardato sotto la lente d'ingrandimento della mia pratica marziale...
Questo potrà sembrare malato, forse...

Ma allo stesso tempo ho applicato alla lettera gli insegnamenti del Dottor Tal Ben Shahar... Ho cercato di usare la Psicologia Positiva per guardare le stesse cose da un altro punto di vista...
Forse lui non sarebbe d'accordo...
o, avendolo conosciuto un pochino, forse sarebbe completamente d'accordo con me.



Bibliografia per chi vuole approfondire:
"The Power of Full engagement"  

di Jim Loher e Tony Schwartz


"Più felice : come imparare ad essere felici nella vita di ogni giorno" 
di Tal Ben Shahar, Baldini-Castoldi Dalai - 2007

"La felicità in tasca : l'Arte di vivere bene senza essere perfetti" 
di Tal Ben Shahar, Newton Cmpton editori

 Sul Tubo sono presenti tutta una serie di lezioni tenute ad Harward dal Dottor Ben Shahar...
:-)






giovedì 23 agosto 2012

PARAPHERNALIA


Ovvero: Tutto ciò che è necessario alla pratica


Mi viene spesso chiesto perché mi ostini a portare gli Hakama quando insegno nel nostro Dojo, in fondo potrei farlo tranquillamente con un keikogi normale o, addirittura, in tuta da ginnastica.
Qui siamo in Italia, con insegnanti Italiani ed allievi Italiani… quindi perché dovremmo mai utilizzare termini, abbigliamenti, regole e metodologie Giapponesi? Anche perché tutte queste “complicazioni” vengono spesso viste come difficoltà aggiuntive ad una pratica che, sicuramente non è semplice.

La risposta a queste domande è, in realtà, una sola ma  composita:

Pratichiamo un Arte Tradizionale Giapponese.

L’uso di indumenti, terminologie, metodologie, rituali e convenzioni Giapponesi fanno parte della pratica tanto quanto lo studio delle tecniche, non sono imprescindibili.. ma ne fanno parte integrante.
Alcune cose vengono accettate più di altre, ma tutte hanno la loro importanza:

IL KEIKOGI BIANCO
Il tradizionale abito bianco è stato ormai sdoganato da i millemila film di Karate degli anni ottanta, la gente si ASPETTA di vederlo usare quando sente parlare di Arti Marziali... ma perchè usarlo invece di una comoda tuta da ginnastica?

                L’abito bianco che si usa nel Dojo ha una triplice funzione…
-          E’ comodo e pratico, resistente abbastanza da essere strattonato e tirato senza rompersi, ed è bianco perché DEVE essere pulito.. per rispetto a se stessi ed agli altri
-           Serve a far capire che tutti gli allievi sono uguali sul tatami (non ci sono avvocati od operai), con l’unica differenza data dalla capacità tecnica.
-          Allo stesso modo il Bianco è un colore che tradizionalmente serve a rappresentare la purezza, quindi la forma mentis con cui l’allievo dovrebbe avvicinarsi alla pratica.




GLI HAKAMA
Gli hakama (quella sorta di pantagonne nere, per intenderci) distinguono, almeno nella nostra scuola, un insegnante o un praticante che abbiano raggiunto almeno lo Shodan, servono quindi ad individuare subito sul tatami gli “esperti”, allo stesso modo della cintura di colore differente.
Ma per me hanno, innanzitutto, un’aspetto meno esotico e più pratico… 
Dimostrano immediatamente all’osservatore occasionale, che ciò che si pratica su quel tatami è una scuola tradizionale… Non una scuola moderna , nè una scuola di Karate o di Judo..
Servono un po’ da "filtro" per tutta quella serie di persone che si avvicinano alla scuola con l’intento di “imparare a fare a botte” , e che, vedendomi vestito in pantagonna nera, si tengono ben distante.
Un aspetto psicologico e di marketing, quindi :-)

LA TERMINOLOGIA GIAPPONESE:
Conoscere i termini corretti per ciò che si sta facendo è, nella mia opinione, un modo per entrare un po’ di più all’interno della corretta mentalità necessaria alla pratica di una Scuola Tradizionale… In più  conoscere la terminologia corretta è utile per avere una base comune quando si discute di tecnica.. o quando si discute qualcosa (è più facile dire “applica kotegaeshi” invece che “fai una torsione al polso”)..
Nel caso della nostra scuola ( e diversamente dalle scuole cinesi) la terminologia utilizzata è piuttosto descrittiva della tecnica, e ci può dare un indizio su quale sia il principio dietro la tecnica che stiamo utilizzando…
Kotegaeshi e Koteori possono sembrare due tecniche piuttosto simili… ma il nome ci aiuta a ricordare che una è una torsione, mentre l’altra è una rottura…
Sapere che Ushiro Ukemi è la “caduta indietro”, ci potrà magari essere utile per ricordare che “ushiro dori” è una tecnica di controllo che presuppone di andare dietro l’avversario…
In ogni caso ogni gruppo di persone ha dei termini comuni che servono ad unirli… Dal linguaggio dei carbonari, alle bande giovanili, dai giochi di parole sul posto di lavoro fino ad arrivare al famigerato Politichese..l’uso di queste terminologie serve sempre a “creare gruppo”, a dare la sensazione di fare “parte di qualcosa”.
IL SALUTO
Come per tutto ciò di cui abbiamo parlato fin’ora, il saluto ad inizio e fine lezione ha un significato che è ben altro che un mero rituale estetico…
Esso ha il significato più profondo di “riassettare “il proprio spirito, di avere un piccolo rituale che ci permetta di “Lasciare fuori”, per quanto possibile, i propri problemi dal Tatami… ad avere rispetto dei propri compagni e della scuola.

In alcune scuole vengono anche utilizzati alcuni piccoli rituali di derivazione Shinto (come battere le mani) o si usa concludere l’allenamento con la lettura di un brano di un libro…
Ogni scuola adotta un proprio metodo…Ma tutti hanno lo scopo di permettere ai praticanti di rasserenare l’animo e di “entrare nel mondo del jujutsu”..
Allo stesso modo il saluto fra praticanti serve a far capire al compagno che si è  pronti ad interagire con lui, che si sta  dedicando la propria attenzione a Lui.
Nel caso della nostra scuola è richiesto anche un saluto allo Shomen, cioè al Lato d'Onore della scuola...
Rappresenta un piccolo impegno nei confronti della Scuola, ed un ringraziamento alla stessa.. Come per il saluto al compagno, o all'insegnante, servono semplicemente ad impostare la forma mentis necessaria alla pratica corretta.


A volte in alcuni Dojo, queste pratiche vengono esagerate ed esacerbate, con rituali che, spesso, vengono irrisi dagli stessi giapponesi che sono spesso più pragmatici di noi.
Dobbiamo quindi  ricordare di praticare sempre  con un po’ di “grano salis”.. Noi non siamo Giapponesi.. né lo saremo mai… quindi è giusto che applichiamo tutte queste pratiche con una mentalità aperta e pratica, senza  esagerare, per non passare per dei fanatici.
In fondo, tutte queste pratiche e metodi, servono a farci apprezzare di più ciò che facciamo, non a farcelo odiare.

martedì 7 agosto 2012

TRE SATORI

Questo testo l'ho già pubblicato su FB, ma ritengo utile riscriverlo qui, in quanto esprime MOLTO di ciò che penso e del mio percorso marziale.



Vorrei condividere questo lungo pensiero che sto meditando da tempo, leggetelo se ritenete che sia interessante... Ignoratelo se lo trovate stucchevole :-)
Avevo bisogno di metterlo nero su bianco, e quindi lo getto qui, nei meandri della Rete..perchè venga raccolto da chi lo vorrà leggere.


Nella mia carriera di jutsuka ho avuto tre momenti importanti per la mia crescita, tre momenti in cui ho avvertito nettamente, con chiarezza cristallina, quale era la mia Strada..

Il primo momento è stato quando ho deciso, dopo anni di "minestrone di stili"  che avrei seguito un solo stile di jujutsu.. e che avrei cercato il mio nuovo Maestro... Ho avvertito il vecchio maestro (che avevo seguito fino ad allora) e, ricevuto il suo permesso, ho iniziato a guardarmi attorno...

Non è passato molto tempo... l'Universo ha riconosciuto la mia necessità e, come gli è consueto, ha deciso di mettermi in contatto con la persona giusta seguendo l'antico detto "Quando l'allievo è pronto, il Maestro arriva".

Ho quindi trovato il mio Maestro, il quale mi ha aperto il suo Dojo ed il suo Cuore, ed ho iniziato a studiare esattamente ciò che stavo cercando.
Egli mi ha trasmesso e continua a trasmettermi ciò di cui ho bisogno... Tecnica, Passione, Spirito. Grazie a Lui ho imparato a "potare i miei rami" ed ho compreso che ciò che cerco è dentro un solo stile, una sola scuola.
Ho compreso che pochi Principi possono dare luogo ad infinite Tecniche, che su ogni attacco posso applicare uno o tutti i principi che ho appreso.
Grazie a Lui Ho capito quale sia il significato dello studio del Kata.. Che Tutto è nel  Kata , ma il Kata non è tutto. Che una Koryu (una scuola tradizionale giapponese) vive fintanto che la Tecnica è viva.. che il Kata stesso è Vivo, ogni volta uguale ed ogni volta diverso da se stesso..Che si adatta all'attacco senza in realtà cambiare mai.
Grazie a Lui sono rinato come marzialista e come persona ed avrà la mia gratitudine per sempre, perchè mi ha dato molto di più di quanto io possa mai ripagare.

Il Secondo momento di Satori è stato quando ho deciso di acquistare uno Iaito.
Ho sempre voluto una Katana, una spada giapponese originale... ma ho sempre odiato l'idea di acquistare un falso simulacro di bassa manifattura cinese.... Volevo qualcosa che fosse originale e, allo stesso tempo, alla portata delle mie tasche. Ho pertanto deciso di acquistare uno iaito, una spada da pratica originale giapponese... Non è affilata e non lo potrà mai essere... la Koshirae è semplice ed umile, ma è costruita con la passione e la cura di un arma più pregiata.
E' un arma che ha una funzione ben precisa, permettere di imparare ad impugnare un Katana in sicurezza, e la svolge con umiltà e rispetto. E' uno strumento che ha una sua Dignità, fatta per essere e non per apparire.
Anche in questo caso l'Universo ha deciso che, evidentemente, meritavo un segno.
Il latore incaricato di consegnarmi il mio Iaito in occasione di una festa sulle Arti Giapponesi, si è offerto di insegnarmi gratuitamente i primi rudimenti di Kenjutsu e Iaido... La mia prima lezione è stata proprio durante quella festa ed è stato amore a prima vista... Nel corso di un anno il Maestro di Kenjutsu si è impegnato in ogni possibile occasione per insegnarmi a tenere in mano la spada, a maneggiarla, ad amarla e ad amare la precisione che essa richiede..
La sua prima frase è stata "lo studio dello Iaido è fatto di particolari"  e mi è rimasta scolpita nel cuore, la ripeto infatti spesso ai miei allievi.
Il Maestro mi ha visitato più spesso che ha potuto, affrontando viaggi lunghissimi e stancanti senza chiedere null'altro che la mia passione e la mia amicizia.. Facendosi due/tre ore di auto per poter praticare due ore con me, per poi ripartire senza magari neanche fermarsi a mangiare..
Da lui ho imparato quel poco, pochissimo che so del maneggio della Spada... Ma ho imparato anche il valore di un Vero Maestro...
Ho imparato che lo studio dello Iaido richiede dedizione e tempo, passione e pazienza. Che ogni particolare è importante e va curato.. che non bisogna accontentarsi di un movimento così-così, ma bisogna cercare il Movimento Perfetto... E anche se non ci si arriverà mai, è lo spirito con cui si cerca quel Movimento che è importante.
Lo studio dello Iaido e del Kenjutsu mi ha migliorato infinitamente anche nel Jujutsu... Ho imparato a cercare la perfezione del movimento, a non accontentarmi di quello che so, ma di cercare sempre di migliorare, imparando da chiunque possa insegnarmi, sia esso un Maestro o un allievo.
Purtroppo i casi della vita vogliono che io e questo Maestro non possiamo più trovarci... gli impegni ed il lavoro ci hanno praticamente diviso... ma rimarrà sempre accanto a me ogni volta che impugno il mio amato Iaito.


Il terzo momento di crescita è stato quando ho iniziato ad insegnare.
All'inizio è stato un semplice tentativo... ho cercato di trovare un modo di praticare ciò che stavo studiando e, come scrive Richard Bach  nel meraviglioso libro "Illusioni" : "Tu insegni meglio ciò che più hai bisogno di imparare". Quindi ho aperto un corso di Jujutsu presso un paesino... Ho avuto tre soli allievi nel corso di un anno...ma grazie all'appoggio di amici che già insegnavano, non ho rinunciato ed ho continuato.
Nel secondo anno, insieme alla persona che considero un Fratello e che mi ha seguito in tutti questi momenti di crescita, abbiamo aperto un nuovo corso di Jujutsu... questa volta le cose sembrano andare molto meglio e gli allievi che siamo riusciti ad accogliere intorno a noi sembrano apprezzare ciò che insegniamo.
Grazie agli allievi ed alla loro passione, ciò che ho imparato dai miei allievi si cristallizza e si compie. L'insegnamento mi permette di studiare il particolare e, allo stesso tempo, di non fossilizzarmi in conoscenze che credo solide. Ogni domanda che mi viene posta richiede una risposta corretta ed esaustiva, o uno studio approfondito della cosa per permettere a loro di imparare le cose correttamente. Mi sono impegnato mentalmente a non mentire mai loro, ad insegnare tutto ciò che so al meglio delle mie possibilità e ad avere l'umiltà di dire "non lo so" quando serve.
Insegnare mi ha fatto crescere moltissimo.. Grazie agli insegnamenti avuti dai miei due Maestri, ho imparato che se doni quello che sai con amore e passione, verrai ripagato con la stessa moneta.
Ho imparato ad essere Leale con i miei Maestri, e di conseguenza ad esserlo con i Miei allievi.
Spero che loro comprendano quanto sto imparando ad insegnare loro quello che so...Loro credono di essere lì per imparare il Jujutsu... in realtà sono lì per insegnarmi ad essere umile, a metterci sempre la stessa passione e la stessa gioia.

Quindi questi tre momenti, questi tre Satori, concorrono l'un l'altro a fare di me ciò che sono..Tutte e tre queste esperienze hanno fatto di me un uomo migliore. Cos'altro si può chiedere ad un'attività umana?
La Strada è ben lungi da essere finita, ma Perdio, il viaggio vale veramente la pena!!!