lunedì 16 luglio 2012

Sull'insegnamento


CAPITOLO 3: SULL’INSEGNAMENTO DI UNA SCUOLA TRADIZIONALE

Chi è stato in giappone a studiare (non è il mio caso), racconta di lunghe sessioni in cui gli allievi provano per ore una sola tecnica…Raccontano la ricerca pedissequa della Perfezione del gesto…lo fanno, per la maggior parte, con lo sguardo di chi la sa lunga e ti spiega quanto tu sia fortunato… Alcuni lo raccontano con lo sguardo che trasmette ammirazione, ben coscienti che un Dojo come quello, avrebbe vita breve in Occidente.

Perché, sia chiaro, noi non siamo Giapponesi, non siamo abituati a praticare per ore senza chiedere, ascoltando solo i comandi del Dojocho…

La capacità tutta giapponese di accettare gli ordini senza discutere ci è estranea, abbiamo sempre bisogno di sapere, di conoscere, di farci spiegare.

I giapponesi si accontentano (in linea generale, e forse non è più così neanche da loro) di praticare ciò che gli viene detto…perché (e questo, veramente, è ciò che non comprendiamo) hanno TOTALE fiducia nell’autorità.. si affidano totalmente al discernimento di chi sta loro sopra…Se l’insegnante dice di fare un milione di volte lo stesso movimento, è perché c’è uno scopo che l’allievo non vede… quindi lo fa perché ha fiducia che il suo insegnante lo porti dove devo andare.

Questa fiducia incrollabile nasce da una cultura notevolmente differente dalla nostra, una cultura che affonda le sue radici nel passato di questo paese in cui la lingua stessa non distingue fra Plurale e singolare (sia nei sostantivi che nei verbi) e che vede il singolo solo come una parte del gruppo di appartenenza.

Nella cultura antica giapponese, infatti, si era PRIMA membro di una famiglia, e POI se stessi, questa fusione del singolo nel gruppo famigliare ha fatto si che l’autorità del capofamiglia venga accettata completamente, poiché l’unità ed il rispetto dell’autorità, sono necessari alla sopravvivenza.

Questa mentalità è talmente radicata nella cultura giapponese che, per estensione, essa si è evoluta in tutti gli aspetti della vita del Paese, dalla nascita della gerarchia Imperiale (in cui l’Imperatore è tale solo per Diritto Divino), Alle strutture sociali nelle Zaibatsu (Grandi aziende multinazionali), al Dojo stesso.

A questa componente culturale, si è aggiunta nei secoli la Cultura Neoconfuciana del periodo Edo, che aggiunge a questo concetto già molto presente, il concetto di “Naturalezza”, cioè indicando che questa forma di “sottomissione all’autorità” sia nell’ordine naturale delle cose, e che facendo il proprio compito al meglio delle proprie possibilità si contribuisca a mantenere l’Ordine universale.

Per contraltare, il Superiore sente in pieno il peso della responsabilità e del comando…nel caso dell’Insegnante di Budo, egli cercherà di fare del proprio meglio perché l’allievo apprenda veramente ciò che gli sta insegnando.

Se questo comporta un milione di ripetizioni, allora un milione siano.
Se l’allievo non accetta il milione di ripetizioni, allora non ha piena fiducia nel suo insegnante, al che è invitato ad andarsene…
Non esiste (o almeno non esisteva) altra considerazione che questa… Non esistono logiche “commerciali”, perché sono comunque subordinate a questo rapporto allievo-maestro.. a questo mutuo rispetto dei ruoli ed al mutuo affidamento l’uno all’altro.
Se dopo un milione di ripetizioni l’allievo ha appreso il principio, allora si può proseguire con un nuovo principio, con una fase più avanzata.. altrimenti.. un altro milione di ripetizioni…

In più, ed è piuttosto importante e difficile da comprendere per noi “gaijin”,  l’insegnante si aspetta che l’allievo apprenda le cose con poche spiegazioni, osservando attentamente il proprio Sensei e cercando di capire il movimento, il principio, senza chiederlo, ma provandolo. Ed è qui che il “milione di ripetizioni” ha la sua forza… se l’allievo avrà praticato con costanza le basi, ciò gli darà gli strumenti per comprendere quello che gli insegnante gli farà vedere di più avanzato… proprio perché, come affermato nel primo capitolo, tutto nasce e si evolve dalle basi stesse.

Non esisteva, non dovrebbe esistere tutt’ora, la contestazione…. Se non va bene ciò che l’insegnante insegna, l’unica alternativa è cambiare Dojo.. cambiare Via…

Questa mentalità, così estranea alla nostra, è stata vista negli anni dagli occidentali  come un “non voler insegnare” o un voler “insegnare il minimo indispensabile”, proprio perché non la si è compresa a causa della mancanza del Background culturale di cui sopra.

Il problema, al giorno d’oggi, è che sia gli insegnanti che gli allievi sono occidentali, e quindi entrambi mancanti degli strumenti culturali che hanno generato questo tipo di sistema di insegnamento delle Arti Tradizionali.

Un allievo occidentale si aspetta dall’insegnante che gli spieghi tutto, ogni particolare, che non gli tenga “nascosto” nulla….Non ripone fiducia nell’insegnante, perché l’insegnante è visto alla stregua di un maestro di balli latinoamericani,  “Ti pago perché mi devi insegnare”…Se un insegnante non spiega tutto, e subito, allora “non è un buon insegnante”, oppure “si tiene il meglio per se” o, peggio, “ si fa pagare per ogni cosa che insegna”.. il problema è che, spesso, queste cose succedono realmente…ed esistono insegnanti così…

Se partiamo però dal presupposto di aver trovato un insegnante onesto e disinteressato, il problema si ripropone sull’altro lato della medaglia…

L’insegnante stesso, per paura che gli allievi se ne vadano, di non riuscire a pagare la retta della palestra, eccetera eccetera, tenderà a mettere di fronte al bene dell’allievo (cioè all’apprendimento), altre priorità.. cercherà quindi di compiacere gli allievi in quello che lui ritiene essi stiano cercando, dicendogli di insegnare “difesa personale”, “l’antica arte di difesa dei samurai”, o altre formule accattivanti…Adattando l’arte stessa alle necessità del momento…

Altre volte l’insegnante stesso non ha il tempo, la passione o la forza di volontà per studiare egli stesso approfonditamente la scuola che insegna, inizierà a mescolare pratiche che ha visto/provato in altre scuole, in altre Arti, incorrendo nell’errore che ho descritto nel Capitolo 2, nel vano tentativo di compiacere i suoi allievi…

Un ulteriore errore viene fatto in buona fede da quegli insegnanti che cercano di spiegare TUTTO, ogni singolo particolare, ogni singolo principio ai propri allievi…Sia per cercare di non apparire come gli insegnanti di cui sopra, sia per la passione che hanno nell’insegnare ciò che loro stessi hanno appreso.
Pur con la scusante della buona volontà, questo è un errore tanto grave quanto i precedenti… perché, come spiegato nel primo capitolo di queste mie elucubrazioni, gli allievi non saranno in grado di apprezzare ed imparare i particolari avanzati fino a che non avranno acquisito le basi…anzi, cercando  di inserire nella loro pratica troppi particolari, “guarderanno l’albero perdendo di vista la foresta”, e faranno ancora più confusione…

Così, dagli errori dell’insegnante, emergono due fallimenti:

Il primo, nei confronti dell’allievo, che dovrebbe ricevere esattamente ciò che la Scuola si è prefissata ( e non, sia chiaro ciò che Lui pensa la scuola debba insegnargli).  L’Insegnante dovrebbe avere l’onestà intellettuale e la capacità di insegnare esattamente ciò che è giusto, al momento giusto.

Il secondo , ed è molto peggio, un fallimento nei confronti della scuola stessa di cui l’insegnante non è il Padrone, ma solo una persona incaricata di trasmetterla al meglio delle proprie possibilità.
Nessuno si aspetta che un insegnante (magari appena incaricato), possa insegnare ai propri allievi TUTTA la scuola, fino all’ultimo particolare e da subito. La Scuola si aspetta solo che egli insegni ciò che meglio conosce al meglio delle proprie possibilità, senza nulla aggiungere, senza nulla sottrarre. Perché, come afferma in un suo scritto il M° Luigi Carniel, gli insegnanti sono “i guardiani del tempio”, intendendo che hanno la missione di difendere la scuola dalle ingiurie del tempo e di trasmetterla “as it is”, ma non hanno la facoltà né il diritto di cambiarla, modificarla, stravolgerla.

Ma allora?

Allora, per dirla alla Latina “in media stat virtus”.

L’insegnante, il Sensei, dovrebbe essere cosciente di essere tale… di essere cioè persona solo un po’ più avanti dei propri allievi… Cosciente che ciò che insegna può anche essere solo una parte del tutto, e pertanto, magari, anche fallace o incompleta. Deve essere onesto con se stesso e con gli allievi.. cercando di far capire loro che il sistema con cui la scuola viene insegnata è quello tradizionale e spiegando loro cosa questo comporti, pregi e difetti. Essi potranno dire, uscendo dal dojo, di essersi divertiti od annoiati, potranno dire che ciò che hanno provato gli è piaciuto o meno, ma sicuramente non diranno di essere stati imbrogliati.

Naturalmente, essendo un occidentale, cercherà di spiegare al meglio ciò che insegna , ma cercando di non esagerare nei dettagli, inserendoli man mano che gli allievi hanno raggiunto la maturità necessaria… Allo stesso tempo, non potrà comportarsi completamente “alla giapponese” perché, onestamente, non lo è lui né i suoi allievi.

L’allievo, a sua volta, dovrebbe cercare di fidarsi del proprio insegnante.. Le domande sono bene accette finchè rimangono nei limiti.. ma dovrebbe comprendere che la ripetizione (e la noia, magari) fa parte dell’apprendimento e che ci sono regole all’interno del Dojo che vanno rispettate anche se non piacciono. 
Che le spiegazioni dell’insegnante non vanno prese come atto dovuto, e quindi non si possono pretendere,  ma sono un modo dell’insegnante per venire incontro alle esigenze di allievi di una cultura differente da quella che ha originato la Scuola.

 A volte l’allievo dovrebbe fidarsi di un “fallo così perché va fatto in questo modo” , ed a volte l’insegnante dovrebbe avere l’umiltà di dire “lo faccio così perché così mi è stato insegnato, anche se ANCORA non ne comprendo il motivo”.
In definitiva:

Il dojo è un luogo in cui TUTTI cercano la Via, allievi ed insegnanti in egual misura,  quindi un’atmosfera rilassata e cordiale è la benvenuta… ma allo stesso modo bisogna chiarire che non è una democrazia, c’è un DojoCho, un responsabile, e le cose si fanno in un certo modo perché egli ritiene che sia il modo migliore di farlo.

Potrà succedere che le circostanze dimostrino il contrario, ma ciò non cambia una virgola ciò che il Sensei ha insegnato.. se è andato bene per lui fino a quel punto, dovrà andare bene per i suoi allievi.

E se l’insegnante ha sbagliato, è compito degli allievi comprendere che questo può succedere perché anche “colui che è prima sulla strada” può imboccare una strada sbagliata, ed è lì per evitare che loro facciano gli stessi errori.

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