CAPITOLO 3:
SULL’INSEGNAMENTO DI UNA SCUOLA TRADIZIONALE
Chi è
stato in giappone a studiare (non è il mio caso), racconta di lunghe sessioni
in cui gli allievi provano per ore una sola tecnica…Raccontano la ricerca
pedissequa della Perfezione del gesto…lo fanno, per la maggior parte, con lo
sguardo di chi la sa lunga e ti spiega quanto tu sia fortunato… Alcuni lo
raccontano con lo sguardo che trasmette ammirazione, ben coscienti che un Dojo
come quello, avrebbe vita breve in Occidente.
Perché,
sia chiaro, noi non siamo Giapponesi, non siamo abituati a praticare per ore
senza chiedere, ascoltando solo i comandi del Dojocho…
La
capacità tutta giapponese di accettare gli ordini senza discutere ci è
estranea, abbiamo sempre bisogno di sapere, di conoscere, di farci spiegare.
I
giapponesi si accontentano (in linea generale, e forse non è più così neanche
da loro) di praticare ciò che gli viene detto…perché (e questo, veramente, è
ciò che non comprendiamo) hanno TOTALE fiducia nell’autorità.. si affidano
totalmente al discernimento di chi sta loro sopra…Se l’insegnante dice di fare
un milione di volte lo stesso movimento, è perché c’è uno scopo che l’allievo
non vede… quindi lo fa perché ha fiducia che il suo insegnante lo porti dove
devo andare.
Questa
fiducia incrollabile nasce da una cultura notevolmente differente dalla nostra,
una cultura che affonda le sue radici nel passato di questo paese in cui la
lingua stessa non distingue fra Plurale e singolare (sia nei sostantivi che nei
verbi) e che vede il singolo solo come una parte del gruppo di appartenenza.
Nella
cultura antica giapponese, infatti, si era PRIMA membro di una famiglia, e POI
se stessi, questa fusione del singolo nel gruppo famigliare ha fatto si che
l’autorità del capofamiglia venga accettata completamente, poiché l’unità ed il
rispetto dell’autorità, sono necessari alla sopravvivenza.
Questa
mentalità è talmente radicata nella cultura giapponese che, per estensione,
essa si è evoluta in tutti gli aspetti della vita del Paese, dalla nascita
della gerarchia Imperiale (in cui l’Imperatore è tale solo per Diritto Divino),
Alle strutture sociali nelle Zaibatsu (Grandi aziende multinazionali), al Dojo
stesso.
A
questa componente culturale, si è aggiunta nei secoli la Cultura Neoconfuciana
del periodo Edo, che aggiunge a questo concetto già molto presente, il concetto
di “Naturalezza”, cioè indicando che questa forma di “sottomissione
all’autorità” sia nell’ordine naturale delle cose, e che facendo il proprio
compito al meglio delle proprie possibilità si contribuisca a mantenere
l’Ordine universale.
Per
contraltare, il Superiore sente in pieno il peso della responsabilità e del
comando…nel caso dell’Insegnante di Budo, egli cercherà di fare del proprio
meglio perché l’allievo apprenda veramente ciò che gli sta insegnando.
Se
questo comporta un milione di ripetizioni, allora un milione siano.
Se
l’allievo non accetta il milione di ripetizioni, allora non ha piena fiducia
nel suo insegnante, al che è invitato ad andarsene…
Non
esiste (o almeno non esisteva) altra considerazione che questa… Non esistono
logiche “commerciali”, perché sono comunque subordinate a questo rapporto
allievo-maestro.. a questo mutuo rispetto dei ruoli ed al mutuo affidamento
l’uno all’altro.
Se
dopo un milione di ripetizioni l’allievo ha appreso il principio, allora si può
proseguire con un nuovo principio, con una fase più avanzata.. altrimenti.. un
altro milione di ripetizioni…
In
più, ed è piuttosto importante e difficile da comprendere per noi
“gaijin”, l’insegnante si aspetta che
l’allievo apprenda le cose con poche spiegazioni, osservando attentamente il
proprio Sensei e cercando di capire il movimento, il principio, senza
chiederlo, ma provandolo. Ed è qui che il “milione di ripetizioni” ha la sua
forza… se l’allievo avrà praticato con costanza le basi, ciò gli darà gli strumenti
per comprendere quello che gli insegnante gli farà vedere di più avanzato…
proprio perché, come affermato nel primo capitolo, tutto nasce e si evolve
dalle basi stesse.
Non
esisteva, non dovrebbe esistere tutt’ora, la contestazione…. Se non va bene ciò
che l’insegnante insegna, l’unica alternativa è cambiare Dojo.. cambiare Via…
Questa
mentalità, così estranea alla nostra, è stata vista negli anni dagli
occidentali come un “non voler
insegnare” o un voler “insegnare il minimo indispensabile”, proprio perché non
la si è compresa a causa della mancanza del Background culturale di cui sopra.
Il
problema, al giorno d’oggi, è che sia gli insegnanti che gli allievi sono
occidentali, e quindi entrambi mancanti degli strumenti culturali che hanno
generato questo tipo di sistema di insegnamento delle Arti Tradizionali.
Un
allievo occidentale si aspetta dall’insegnante che gli spieghi tutto, ogni
particolare, che non gli tenga “nascosto” nulla….Non ripone fiducia
nell’insegnante, perché l’insegnante è visto alla stregua di un maestro di
balli latinoamericani, “Ti pago perché
mi devi insegnare”…Se un insegnante non spiega tutto, e subito, allora “non è
un buon insegnante”, oppure “si tiene il meglio per se” o, peggio, “ si fa
pagare per ogni cosa che insegna”.. il problema è che, spesso, queste cose
succedono realmente…ed esistono insegnanti così…
Se
partiamo però dal presupposto di aver trovato un insegnante onesto e
disinteressato, il problema si ripropone sull’altro lato della medaglia…
L’insegnante
stesso, per paura che gli allievi se ne vadano, di non riuscire a pagare la
retta della palestra, eccetera eccetera, tenderà a mettere di fronte al bene
dell’allievo (cioè all’apprendimento), altre priorità.. cercherà quindi di
compiacere gli allievi in quello che lui ritiene essi stiano cercando,
dicendogli di insegnare “difesa personale”, “l’antica arte di difesa dei
samurai”, o altre formule accattivanti…Adattando l’arte stessa alle necessità
del momento…
Altre
volte l’insegnante stesso non ha il tempo, la passione o la forza di volontà
per studiare egli stesso approfonditamente la scuola che insegna, inizierà a
mescolare pratiche che ha visto/provato in altre scuole, in altre Arti,
incorrendo nell’errore che ho descritto nel Capitolo 2, nel vano tentativo di
compiacere i suoi allievi…
Un
ulteriore errore viene fatto in buona fede da quegli insegnanti che cercano di
spiegare TUTTO, ogni singolo particolare, ogni singolo principio ai propri
allievi…Sia per cercare di non apparire come gli insegnanti di cui sopra, sia
per la passione che hanno nell’insegnare ciò che loro stessi hanno appreso.
Pur con la scusante della buona volontà, questo è un errore tanto grave quanto i
precedenti… perché, come spiegato nel primo capitolo di queste mie
elucubrazioni, gli allievi non saranno in grado di apprezzare ed imparare i
particolari avanzati fino a che non avranno acquisito le basi…anzi, cercando di inserire nella loro pratica troppi
particolari, “guarderanno l’albero perdendo di vista la foresta”, e faranno
ancora più confusione…
Così,
dagli errori dell’insegnante, emergono due fallimenti:
Il
primo, nei confronti dell’allievo, che dovrebbe ricevere esattamente ciò che la
Scuola si è prefissata ( e non, sia chiaro ciò che Lui pensa la scuola debba
insegnargli). L’Insegnante dovrebbe
avere l’onestà intellettuale e la capacità di insegnare esattamente ciò che è
giusto, al momento giusto.
Il
secondo , ed è molto peggio, un fallimento nei confronti della scuola stessa di
cui l’insegnante non è il Padrone, ma solo una persona incaricata di
trasmetterla al meglio delle proprie possibilità.
Nessuno
si aspetta che un insegnante (magari appena incaricato), possa insegnare ai
propri allievi TUTTA la scuola, fino all’ultimo particolare e da subito. La
Scuola si aspetta solo che egli insegni ciò che meglio conosce al meglio delle proprie
possibilità, senza nulla aggiungere, senza nulla sottrarre. Perché, come
afferma in un suo scritto il M° Luigi Carniel, gli insegnanti sono “i guardiani
del tempio”, intendendo che hanno la missione di difendere la scuola dalle
ingiurie del tempo e di trasmetterla “as it is”, ma non hanno la facoltà né il
diritto di cambiarla, modificarla, stravolgerla.
Ma
allora?
Allora,
per dirla alla Latina “in media stat virtus”.
L’insegnante,
il Sensei, dovrebbe essere cosciente di essere tale… di essere cioè persona
solo un po’ più avanti dei propri allievi… Cosciente che ciò che insegna può
anche essere solo una parte del tutto, e pertanto, magari, anche fallace o
incompleta. Deve essere onesto con se stesso e con gli allievi.. cercando di
far capire loro che il sistema con cui la scuola viene insegnata è quello
tradizionale e spiegando loro cosa questo comporti, pregi e difetti. Essi
potranno dire, uscendo dal dojo, di essersi divertiti od annoiati, potranno
dire che ciò che hanno provato gli è piaciuto o meno, ma sicuramente non
diranno di essere stati imbrogliati.
Naturalmente,
essendo un occidentale, cercherà di spiegare al meglio ciò che insegna , ma
cercando di non esagerare nei dettagli, inserendoli man mano che gli allievi
hanno raggiunto la maturità necessaria… Allo stesso tempo, non potrà
comportarsi completamente “alla giapponese” perché, onestamente, non lo è lui
né i suoi allievi.
L’allievo,
a sua volta, dovrebbe cercare di fidarsi del proprio insegnante.. Le domande
sono bene accette finchè rimangono nei limiti.. ma dovrebbe comprendere che la
ripetizione (e la noia, magari) fa parte dell’apprendimento e che ci sono
regole all’interno del Dojo che vanno rispettate anche se non piacciono.
Che le
spiegazioni dell’insegnante non vanno prese come atto dovuto, e quindi non si
possono pretendere, ma sono un modo
dell’insegnante per venire incontro alle esigenze di allievi di una cultura
differente da quella che ha originato la Scuola.
A volte l’allievo dovrebbe fidarsi di un
“fallo così perché va fatto in questo modo” , ed a volte l’insegnante dovrebbe
avere l’umiltà di dire “lo faccio così perché così mi è stato insegnato, anche
se ANCORA non ne comprendo il motivo”.
In
definitiva:
Il
dojo è un luogo in cui TUTTI cercano la Via, allievi ed insegnanti in egual
misura, quindi un’atmosfera rilassata e
cordiale è la benvenuta… ma allo stesso modo bisogna chiarire che non è una
democrazia, c’è un DojoCho, un responsabile, e le cose si fanno in un certo
modo perché egli ritiene che sia il modo migliore di farlo.
Potrà
succedere che le circostanze dimostrino il contrario, ma ciò non cambia una
virgola ciò che il Sensei ha insegnato.. se è andato bene per lui fino a quel
punto, dovrà andare bene per i suoi allievi.
E se
l’insegnante ha sbagliato, è compito degli allievi comprendere che questo può
succedere perché anche “colui che è prima sulla strada” può imboccare una
strada sbagliata, ed è lì per evitare che loro facciano gli stessi errori.
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